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venerdì 20 ottobre 2017

Tito Boeri, la crisi demografica, le pensioni e l'immigrazione come variabile esogena naturale

Tito Boeri, Presidente dell'Inps, ha ribadito ieri, per la seconda volta in pochi mesi,  che l'Italia ha bisogno di un maggior numero di immigrati regolari per compensare il declino demografico e per rendere sostenibile il sistema pensionistico. Si è riferito in modo diretto alla regolarizzazione dei lavoratori immigrati ma in realtà parlando di prospettive di lungo periodo ha implicitamente descritto l'immigrazione come fenomeno d'insieme nel suo impatto sulla demografia nazionale e sul funzionamento del sistema pensionistico.
Ecco qui la sua esternazione che somiglia molto a quella giù espressa nel mese di Luglio.


Si tratta di una prospettiva apparentemente logica e di buon senso, ma che in realtà nasconde un freddo cinismo economicistico e un'affermazione perentoria di difesa dello status quo. Prescindiamo dal dibattito sulla regolarizzazione degli immigrati irregolari e concentriamo l'attenzione sull'idea di immigrazione come risorsa economica di compensazione degli squilibri economico-demografici. Sta qui infatti il punto cruciale che delimita una vera e propria cultura e ideologia.. Le parole di Boeri del resto non riaffermano un punto di vista isolato, ma una consolidata impostazione sul tema.
Si trasforma infatti l'immigrato da soggetto di un dramma collettivo economico e sociale ad oggetto e risorsa preziosa per l'equilibrio demografico e pensionistico di una collettività a lui estranea. Volente o nolente tale punto di vista disumanizza il fenomeno dell'immigrazione naturalizzandolo come dato esogeno stabile. Si sottintende, in sostanza, che l'immigrazione c'è, c'è sempre stata, è inevitabile e quindi ci possiamo permettere persino di considerarla alla stregua di una variabile costante che compensa squilibri interni e internazionali.
Vi sono tre errori fondamentali nell'impostazione di coloro che vedono nell'immigrazione una risorsa e una variabile di aggiustamento:

sabato 6 maggio 2017

Macron-Le Pen: note sull'importanza di una linea astensionista. Il rifiuto ragionato di un menopeggismo ossessivo per l'autonomia di un'alternativa socialista al neo-liberalismo





Premessa: il menopeggismo non è un valore o un disvalore assoluto


Ci sono circostanze, nella vita come in politica, in cui optare per il meno peggio è non solo opportuno, ma persino imprescindibile. Il purismo di chi rifiuta sempre e comunque il "menopeggismo" come opzione si trasforma facilmente in settarismo e come tale va bandito. Sovente siamo chiamati a scegliere tra opzioni niente affatto ideali in cui è però evidente la gerarchia del meno-peggio, vuoi perché il peggio apporta pericoli di seria gravità, vuoi perché il meno-peggio può rappresentare tutto sommato un accettabile compromesso o persino un modesto passaggio migliorativo.
Il problema sorge però quando il menopeggismo diventa un'attitudine preconcetta o persino irrazionale, una sorta di istinto, di riflesso condizionato e compulsivo. In questo caso si finisce per dare ad ogni scelta, anche quando prudenza e riflessione suggerirebbero il contrario, il valore assoluto dell'urgenza e dell'aut-aut, perdendo la preziosissima possibilità di non schierarsi considerando i due mali non degni di essere preferiti l'uno all'altro e lavorando alacremente per rafforzare la vera alternativa ai due mali.